Viaggio fra i teatri storici di Bergamo: dal Donizetti al Sociale, fino ai teatri del passato

La stagione che ci avvicina al Natale, così densa d’incanto, è la più intima e affascinante dell’anno: ci spinge a rintanarci nel calore degli affetti, di luoghi accoglienti, di storie magiche e speciali.
Tutto si tinge, in questo particolare periodo dell’anno, di meraviglia e stupore, e tra luminarie e decorazioni luccicanti, anche il teatro, il luogo dell’immaginario per eccellenza, come un appuntamento fisso, spalanca le sue porte proprio in questo periodo, per accogliere in un caldo abbraccio gli spettatori, con ricchissime stagioni e rassegne di spettacoli.
Nella nostra città questo mondo è oggi assolutamente protagonista! Fra recenti riaperture, splendidi restauri, stagioni fittissime e strabilianti, il teatro a Bergamo non è mai stato così vivace: ho pensato, dunque, di proporti un affascinante viaggio nella storia dei teatri presenti e passati della città!
Il teatro a Bergamo

Catapultiamoci nei nostri amati mondi lontani, ma solo a livello temporale, senza spostarci di un passo da Bergamo: devi infatti sapere che il piacere del teatro era un’attività imprescindibile per i bergamaschi dei secoli passati, quasi quotidiana!
Guarda, al sorgere dell'Ottocento, cosa appuntava Stendhal nei suoi diari, nel felice periodo in cui soggiornò nella nostra città: “Ci sono due teatri a Bergamo, uno molto bello nel borgo, cioè nella zona in piano della città, l’altro in legno, sulla piazza della città vecchia. Tutte le sere andiamo a quest’ultimo, vicinissimo alla nostra abitazione”. Stendhal era infatti ospite a Palazzo Terzi e s’innamorò oltremodo di Bergamo – dai un’occhiata qui per scoprire questa storia e assaporare tutte le sue sensazioni legate alla città!
Se ti incuriosisce scoprire di che teatri sta parlando, non ti resta che leggere di seguito… e immergerti in questo nuovo viaggio con la Margì!
Alle origini dei due teatri stabili di Bergamo: il Teatro Donizetti e il Teatro Sociale
Bergamo ospita oggi due splendidi teatri, ricchi di storie curiose legate alla città e ai suoi abitanti del passato: questi luoghi si rivelano un eccellente mezzo per curiosare il momento storico e la società dell’epoca.
Siamo alla fine del Settecento: sulla città soffia un vento colmo di echi rivoluzionari proveniente dalla Francia, che scuote le vecchie istituzioni, portando la società nobiliare a continui confronti e "bisticci" con la borghesia emergente, entrambe alla ricerca del giusto spazio nel nuovo mondo…
Il teatro Riccardi, l'antenato del teatro Donizetti

Il teatro Riccardi sorse ufficialmente il 24 agosto 1791, ad una manciata di ore dalla festa di Sant’Alessandro: siamo nel cuore di una Città bassa ancora deserta e disabitata, la quale però, quando l’estate si avviava alla conclusione, si animava ospitando una splendida Fiera cittadina.
In questa vivace occasione era abitudine, per intrattenere gli ospiti e i viaggiatori, allestire tanti piccoli palchetti provvisori, realizzati in legno, che ospitassero rappresentazioni teatrali; con la fine della fiera, questi venivano appunto smantellati e la magia del momento si spegneva al terminare dell'estate.
Un giorno, il ricco commerciante di seta Bortolo Riccardi ebbe l’intuizione – e la decisa volontà di finanziare! – la realizzazione di un teatro che fosse stabile, in muratura, per invertire l'abituale tendenza di erigere teatrini che sarebbero poi irrimediabilmente scomparsi.
S'incaricò il progettista Giovanni Francesco Lucchini e i lavori vennero intrapresi: non fu affatto facile, perché Riccardi dovette aggirare le ordinanze cittadine (le quali imponevano proprio che le costruzioni sorte nella zona fieristica fossero provvisorie) e, soprattutto, cercare un consistente sostegno economico. Questo teatro stava infatti sorgendo grazie alla determinazione della borghesia nascente, ma essa non aveva abbastanza denaro per permettersi l'intera costruzione!

Riccardi chiese così aiuto ai nobili, con l’idea che di quel tempio scenico potessero in futuro beneficiarne entrambi. Egli azzardò loro una richiesta che si rivelò troppo pretenziosa: propose che la quota associativa, normalmente pagata solo stagionalmente per il periodo della fiera, fosse corrisposta tutto l’anno. Ne nacque un contenzioso a causa del quale i nobili decisero di abbandonare il progetto, preferendo costruire in autonomia un proprio teatro; e, ovviamente, scelsero di erigerlo vicino alle loro dimore, ovvero in Città Alta.
Intanto, anche se non ancora completato, il teatro Riccardi (che prese il nome del suo artefice) si attivò fin da subito, tanta era la voglia di gustarne le rappresentazioni.
L'attività scenica si distribuiva su periodi precisi, che dalla fine del Settecento coinvolse principalmente due stagioni: quella di Carnevale, che si svolgeva tra dicembre e febbraio, e quella della Fiera, che si svolgeva invece tra agosto e settembre.
Ti rivelo una curiosità, a questo proposito: c'è una tradizione che si porta avanti dal lontano Medioevo, quando, nel periodo della Quaresima (i 40 giorni che, nella religione cristiana, precedono la Pasqua), era assolutamente vietata la rappresentazione teatrale e, più in generale, di spettacoli pubblici. Coloro che si dedicavano a quest’arte, dunque, erano costretti a interrompere qualsiasi attività e a non avere più modo di sopravvivere.
Da allora il colore viola, che è quello dei paramenti liturgici usati dai sacerdoti durante la quaresima, ha significato sfortuna e disgrazia per il mondo dello spettacolo, sia se indossato da un attore sia se indossato dal pubblico!
Tornando al Riccardi, ma restando in tema di "disgrazie", non molti anni dopo la sua inaugurazione, nel 1797, il teatro subì una terribile battuta d'arresto, poiché venne distrutto da un incendio in circostanze misteriose. Riccardi e il suo gruppo non si persero d’animo: l'edificio venne prontamente ricostruito più imponente di prima, e nuovamente inaugurato all’apertura del nuovo secolo, il 1800.

Dopo lunghe vicissitudini, da questo turbolento avvio nascerà il primo teatro stabile cittadino, in una zona della città decisamente spoglia, ma che si stava sviluppando pian piano: il teatro si rivelerà così uno degli elementi fondanti della futura Città Bassa, a fianco del quale sorgerà l’arteria principale, il Sentierone.
Artisticamente, l’inizio del nuovo secolo vide affermarsi al Riccardi l’illustre musicista di origine bavarese Giovanni Simone Mayr, che trasmise uno eccezionale impulso alla vita musicale della città, e ben presto scoprì le potenzialità di un giovanissimo Gaetano Donizetti: quest'ultimo frequentava le “Lezioni caritatevoli” di musica offerte dal maestro e finanziate dalla Misericordia Maggiore, e potè continuare gli studi grazie al profondo supporto di Mayr.

E certamente, Donizetti sarà uno dei massimi protagonisti della storia di questo teatro, fino a quando, proprio nel suo nome, si verificherà una svolta determinante nella vita del Riccardi: nel 1897, infatti, in occasione del centenario della nascita del compositore, il teatro assumerà proprio il nome di Teatro Gaetano Donizetti.

Da quel momento, una brillante stagione si aprirà per il teatro, perla della città che vedrà il passaggio di nomi importanti e opere straordinarie: il Donizetti si mostrerà infatti sempre attento a sperimentazioni e innovazioni, e si distinguerà per la profonda qualità e varietà della proposta teatrale.
Il Teatro della Società dei nobili, ovvero il Teatro Sociale

Saliamo adesso in Città Alta e riprendiamo le fila di questa storia da dove si era interrotta: con la volontà di rivaleggiare con il Teatro Riccardi, e di restituire alla Città Alta quella supremazia che il nuovo teatro di Città Bassa le insidiava, nacque ad opera di 54 nobili bergamaschi il “Teatro della Società”; il progetto contava infatti rappresentanti delle famiglie più in vista della città.
La società dei nobili individuò un’area per l'innalzamento dello stabile e reclutò un architetto dalla spiccata impronta neoclassica. Rispettivamente, si scelse l’angolo fra Piazza Vecchia e via Corsarola, dietro l’antico palazzo del Podestà veneto, nonostante l'esiguità dello spazio, e si affidò il progetto ad un architetto molto attivo all’epoca in Città Alta: Leopoldo Pollack, allievo del noto architetto scenico Giuseppe Piermarini, l'autore della Scala di Milano.
I nobili versarono una somma consistente destinata alla realizzazione del loro nuovo teatro, attraverso una quota associativa che sarebbe durata tutto l’anno: ogni famiglia avrebbe posseduto così un palchetto personale, ovvero un ambiente privato da poter abbellire come si preferiva, quasi fosse un'estensione della propria casa: non è raro, oggigiorno, visitare i palazzi nobiliari della città e imbattersi in cimeli provenienti proprio da quello che era il palchetto della famiglia al Teatro Sociale - a Palazzo Moroni, un tavolino nasconde in realtà un pannello di legno decorato proveniente dal palchetto dei Moroni.
Il 26 dicembre 1808, inaugurando la stagione del Carnevale che si sarebbe aperta a breve, il Teatro Sociale aprì ufficialmente il proprio sipario, potendo vantare una capienza di 1300 posti a sedere.