Una sera ascoltavo il professor Umberto Galimberti ragionare, ospite di una trasmissione televisiva, di come, a dispetto di quanto si pensi, i più grandi movimenti rivoluzionari – dalla Rivoluzione francese alle insurrezioni nell’odierno Iran – siano partiti dalle donne.
Qui, di donne bergamasche che hanno dato la scintilla per cambiare le cose, abbiamo parlato tanto. Con orgoglio, ammirazione e anche per rimettere un po’ in equilibrio le cose, dando voce a storie femminili immeritatamente sconosciute.
Non giriamoci intorno: le testimonianze che giungono dal mondo attorno a noi, sul versante sociale e culturale, ci dipingono un orizzonte ancora decisamente maschile.
Ogni occasione è preziosa, dunque, per accendere una luce in più. Come riflettere sulle prime testimonianze di donne che, nella nostra Bergamo, svolsero alcuni mestieri e attività tipicamente “maschili”.
L'arte secondo le donne bergamasche
«Che le donne in ogni etade abbiano illustri prove al Mondo recate del loro valore, fede ne fanno tra le antiche...; e fra queste nè più moderni tempi... Ne in ciò dee la nostra città invidiari a qualunque altra, la quale siccome d'uomini in questa professione singolari è stata sempre mai abbondevole,
così ha pure partorito delle donne al pari...»
Francesco Tassi, Vite de' pittori scultori architetti bergamaschi, 1793
Il mondo dell’arte, cuore pulsante di questo nostro spazio, si articola in attività che, storicamente, sono sempre state ad appannaggio esclusivo degli uomini.
Pittura, scultura e via discorrendo: le donne, a Bergamo come altrove, non erano in alcun modo ammesse ai corsi di formazione, alle scuole e alle botteghe dei maestri.
Si rilevano, però, casi di pittrici che impararono ugualmente da autodidatte, mentre alcune gemme trovarono la loro luce perché figlie di artisti, e quindi iniziate alla pittura nelle botteghe, all’ombra dei padri.
Chiara e Isabella Salmeggia, sorelle (anche) in pittura
Il Tassi, una sorta di “Vasari dell’arte bergamasca”, sottolinea bene tutto ciò nella citazione in apertura, dedicata alla pittrice Chiara Salmeggia, vissuta all’inizio del Seicento. Lei e la sorella Isabella crebbero e si formarono imparando dal padre, il pittore Enea, noto come “Il Talpino”; questi, attivissimo a Bergamo ma anche a Milano, aveva bottega nel borgo San Leonardo, a un passo da Sant’Alessandro in Colonna.
Alcune delle committenze affidate direttamente a Chiara si possono tuttora ammirare: è il caso di una pala d’altare della chiesa di San Giovanni Battista a Trescore Balneario e, soprattutto, del «San Libero» e della «Madonna e santi», nella chiesa di S. Agata nel Carmine, in Bergamo Alta (sotto).
Proprio in quest’ultimo luogo, il Talpino lavorò molto, e così la sua stessa bottega, composta in particolare dai suoi figli, che contribuirono alla creazione delle straordinarie opere che si attribuiscono al padre.
Eccoti dunque un luogo da non perdere nelle tue prossime passeggiate lungo la Corsarola: entra in Sant'Agata a curiosare, per cogliere la mano (e la firma!) di Chiara Salmeggia.
Caterina Caniana, intagliatrice in madreperla
Avanziamo alla fine del secolo, e incontriamo Caterina Caniana, figlia d’arte anch’essa, erede di una grande famiglia di intarsiatori, intagliatori e architetti.
Caterina, sin da giovane particolarmente avvezza al ricamo, non rimase chiusa fra le mura domestiche: si avvicinò all'arte dell'intarsio e divenne la principale collaboratrice del padre, l’architetto Giovanni Battista Caniana; con lui lavorò a diverse committenze, specializzandosi nell’utilizzo della madreperla.
Dalla chiesa di San Martino ad Alzano – le tarsie degli schienali delle panche, raffiguranti diverse scene bibliche – a quello che fu il monastero di Rosate, che sorgeva dove ora trova spazio il liceo classico Paolo Sarpi, in Bergamo Alta.
Man mano, i lavori commissionati alla giovane e talentuosa Caniana proliferarono sempre più, e oggi possiamo incrociare il suo lascito al mondo dell'arte nella chiesa parrocchiale di borgo Santa Caterina – l’altare è opera sua –, nella chiesa dei Riformati di Alzano e in quella omonima di Brescia – suo il medaglione raffigurante la Deposizione – e nella chiesa di Sorisole, dove lavorò a un pulpito con intagli e medaglioni istoriati.
Isabella e Paolina Pagnoncelli e l'arte del ritratto
Balziamo a due secoli dopo, ed ecco un’altra coppia di sorelle bergamasche: Isabella e Paolina Pagnoncelli, che poterono godere di una formazione d'eccezione: furono allieve private del direttore dell’Accademia Carrara Giuseppe Diotti.
Nel corso dell’Ottocento la sensibilità, con fatica, cominciava a cambiare: fiumi di petizioni che reclamavano l’ammissione delle studentesse ai corsi d’arte accademici cominciavano a prendere piede, ma la strada era ancora lunga.
Le sorelle Pagnocelli, abilissime nella ritrattistica, si distinsero per le commissioni di prestigio che ricevettero e che svilupparono collaborando e supportandosi vicendevolmente. Isabella fissò sulla tela una serie di alti prelati, Paolina personaggi di spicco bergamaschi; loro opere furono esposte in Carrara e persino alla Pinacoteca di Brera, a Milano.
Per la chiesa di Cerro di Bottanuco, Isabella eseguì un "San Giuliano" e un "San Michele Arcangelo", e insieme a Paolina “La presentazione al tempio di Gesù” (sopra); anche a Villa d'Adda è possibile scovare tracce delle sorelle, in particolare nella "Processione di S. Carlo", realizzata per la chiesa parrocchiale.
Alpinismo bergamasco in rosa
«Sono passati 70 anni, ma rimane ancora la sensazione di doversi far accettare dai propri compagni di cordata o colleghi uomini».
Anna Torretta, alpinista, scrittrice e guida alpina
Analizzando altri straordinari versanti, in qualche misura più vicini ai nostri tempi, troviamo un ambito in cui le donne hanno sempre faticato ad affermarsi: quello sportivo.
Le storie di bergamasche campionesse oggi sono all’ordine del giorno, ma la “svolta” è avvenuta in tempi decisamente recenti. Prima che giungesse il Novecento, infatti, l’immaginario del gentil sesso esile e apparentemente fragile ha sempre tenuto le donne quanto più lontane dal mondo dello sport e dalle sfide che ne derivavano.
Immagina in particolare per un’attività sportiva impegnativa ed estrema come quella dell’alta quota, che ha sempre attirato, per natura, i nati ai piedi delle Orobie.
Qui, la sfida è doppia, per le donne: come evidenzia la citazione d'apertura, è una sfida anche contro il pregiudizio.
Nives Meroi e la conquista degli Ottomila
Nives Meroi, nata nel 1961 a Bonate Sotto e cresciuta nella bergamasca, si avvicina all’alpinismo sui passi del marito Romano Benet, suo compagno fisso di cordata.
Dopo l’esplorazione delle vicine Alpi, la coppia vola ad est e scala fianco a fianco tutti i quattordici Ottomila, arrivando a detenere il primato assoluto nell’impresa.
Nel 1998, quando Nives Meroi raggiunge la prima di queste straordinarie vette, il Nanga Parbat pakistano, è la prima donna italiana ad abbracciare questo titolo. Da allora, la coppia Meroi-Benet colleziona a cascata una serie di successi conquistando, fra gli altri, l’Everest nel 2007 e il Manaslu nel 2008.
Due anni dopo, Nives Meroi riceve un riconoscimento eccezionale: come tributo ai traguardi ottenuti in alta quota, è insignita dal Presidente della Repubblica dell’Onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica Italiana.
Rosa Morotti e la Via dei Nembresi sulle cime boliviane
Raggiungiamo Nembro, nella media val Seriana, che ha dato i natali a uno degli alpinisti più eccezionali di sempre: Mario Curnis. Ma li ha dati anche a Rosa Morotti, la cui storia è particolarmente articolata.
Anch’essa, come la Meroi, conosce la passione per le scalate attraverso il marito, Sergio Della Longa, ma le scintille arrivavano già dall’infanzia, quando lo zio Carlo Nembrini comincia ad avvicinarla alla montagna, portandola sempre al Passo della Presolana.
Il destino, alle volte, è capriccioso e pure ostinato. Entrambi i compagni di avventure verticali della Morotti, infatti, perdono tragicamente la vita sui monti, e la stessa fatalità colpisce anche il successivo compagno di Rosa.
Ma la passione della bergamasca per la montagna non si affievolisce: la felicità che regala questa dimensione, a suo dire, non si può barattare. Quelle drammatiche occasioni le danno lo stimolo per non mollare, per fare anzi di più: lasciare un segno che sia un omaggio a tutti coloro che hanno amato la montagna tanto da averle dato la vita, ma non solo.
Così, nell’estate 2023, Rosa ripercorre le tracce delle zio alpinista sulle Ande e, insieme alla giovane guida alpina scanzese Daniel Assolari, apre quella che battezza la “Via dei Nembresi”, sul versante nord del Nevado Illampu boliviano, alto 6.370 metri (sotto). Una vetta che affaccia sull’Amazzonia, e porta lo sguardo fino al Perù. Ti lascio qui il racconto dell'impresa, con le parole della stessa Morotti.
Le storie di donne sono infinite, tutte a modo loro significative. Ed è significativo parlarne, perché non è mai abbastanza, e perché ci sono ancora moltissimi campi dove alle donne tocca dimostrare sempre qualcosa in più.
Se volessi ascoltare altre straordinarie storie di donne di Bergamo, la Margì ti aspetta in tour! Dopo il sold out dell'8 marzo, l'appuntamento è per il 18: scoprirai la storia di 7 donne che hanno fatto la storia della nostra città!
Trovare informazioni per comporre queste storie non è stato immediato, perché il vortice della storia ha spesso inghiottito le tracce dell'operato femminile. E tu, hai storie di donne bergamasche da suggerirci? Scrivi a info@nadiamangili.com: insieme, possiamo provare ad arricchire un patrimonio di storie preziosissimo!
Riferimenti
Immagini
Per le immagini dell'Adorazione dei pastori, si ringraziano le Clarisse del Monastero di Santa Chiara di Lovere e la gentilissima Camilla Mrad
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