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Arlecchino, Brighella, Gioppino e Margì: le maschere bergamasche



Alzi la mano chi adora il Carnevale!


Se ci pensi, questa è la festa più popolare, più vissuta dalla comunità insieme, fatta di carri e strade piene, dove i più piccoli si divertono in compagnia dei più grandi, da sempre. Personalmente ho sempre amato questa ricorrenza, che per un giorno, fra musica, allegria e coriandoli, ti concede l'opportunità di vestire i panni di chi desideri!


Con l'occasione, ho pensato di accompagnarti in un viaggio nella nostra tradizione: ripercorreremo insieme le origini delle maschere protagoniste della storia di Bergamo!

..E sì, andremo anche alle radici del mitico personaggio della Margì!


La Commedia dell’Arte


Per capire come mai le nostre maschere sono così caratteristiche e particolari, addentriamoci innanzitutto in quello che è il contesto che le ha viste svilupparsi e spesso nascere: la Commedia dell’Arte, un genere teatrale nato nel Cinquecento e diffuso in Italia.

Era caratterizzato dall'assenza di un vero e proprio copione: gli attori basavano la propria interpretazione su un canovaccio, ovvero una trama, e improvvisavano in scena.

In quel tempo, dal mondo del Carnevale da cui provenivano, le maschere "saltarono" in quello teatrale, grazie ai comici che le portavano sulla scena, talvolta modificandone alcune caratteristiche; e con la Commedia stessa, nasceranno anche moltissime nuove maschere.

Una delle particolarità principali della Commedia dell’Arte era proprio la presenza di personaggi che ritornavano in scena sempre uguali a loro stessi in ogni rappresentazione, e si “fissavano” con determinate caratteristiche: si sviluppano proprio così le maschere come le conosciamo noi e a cui siamo affezionati, con le loro particolarità caratteriali e il loro inconfondibile aspetto.


E ora approfondiamo quelle che la tradizione ha fatto nascere proprio nella bergamasca!



Lo Zanni e la nascita di Brighella e Arlecchino


Alle origini di due fra le più amate maschere bergamasche, c’è un personaggio che probabilmente non conoscerai, ma che era talmente importante da aver dato il nome alla stessa Commedia dell’Arte nei suoi primissimi anni: lo Zanni.

Questo personaggio, che impersonava il servo contadino, si chiamava così (Zanni era una probabile derivazione di Gianni) non per caso: il suo era infatti un nome molto diffuso nella campagna veneto-lombarda da cui proveniva la maggior parte dei servitori dei nobili e dei ricchi mercanti veneziani. La Commedia dell’Arte era talmente popolata da questi personaggi da essere inizialmente chiamata, come ti anticipavo, Commedia degli Zanni.


Ma che tipo era Zanni? Un personaggio un po' rozzo e buffone, che rappresentava un uomo semplice di montagna, caratterizzato da un forte accento bergamasco (che ne marcava fin da subito la provenienza non veneziana) e che ebbe molto successo nelle rappresentazioni teatrali in coppia con il padrone, il cosiddetto "Magnifico". Insieme, furono il primo duo comico formatosi a Venezia, luogo di importanza centrale per lo sviluppo della Commedia dell’Arte.


Qual era il suo aspetto? Osserva questa vivissima rappresentazione e immaginatelo: portava un largo e sgualcito camiciotto legato in vita con una corda, pantaloni rimboccati alla caviglia, ed esibiva una barba incolta che incorniciava il viso, spesso nero di carbone; il tutto era concluso da un cappellaccio di feltro.



Ben presto, il suo ruolo si sdoppiò e diede vita a due varianti: il primo Zanni, il servo astuto e spesso autore di imbrogli, e il secondo Zanni, sciocco o all'apparenza tale, al quale era spesso affidato il compito di divertire il pubblico interrompendo l'azione con continui scherzi e malefatte.


Tra le maschere a cui darà vita il modello del primo Zanni nasceranno Brighella e Truffaldino, mentre dal secondo ruolo i celebri Arlecchino e Pulcinella.

Pensa che il forte accento che caratterizzava in particolare il servo sciocco aveva finito per identificarlo con i bergamaschi della zona bassa, considerati tonti e “stagnanti” rispetto ai ben più furbi abitanti della zona alta, i quali erano in qualche modo “purificati” dall’aria di montagna.


Gli attori che portavano in scena gli Zanni ebbero un importante ruolo nel determinare la fortuna dei secondi rispetto ai primi: con il tempo, infatti, i servi sciocchi diventarono molto più famosi dei servi astuti, non solo per l’impatto che avevano sul pubblico, ma in particolare per la bravura degli attori che li impersonavano.


Se ti va di ascoltare qualcosa in più sugli Zanni, e direttamente da un palco teatrale, ti rimando a questo splendido video che ha come protagonista un maestro d’eccezione, Dario Fo, che impersonò moltissime volte il ruolo di Arlecchino:




Da Città Alta a Venezia: la maschera bergamasca di Brighella


Il teatro racconta che il primo a lasciare la bergamasca e a giungere a Venezia sia stato Brighella, il servo astuto che godrà di maggiore fama. Nasce a Bergamo Alta - lo precisa con orgoglio! - e, attraverso il suo nome, svela sin da subito le sue caratteristiche: Brighella deriva dal verbo “brigare”, ovvero darsi da fare per ottenere qualcosa, cercando aiuti e protezioni, anche attraverso imbrogli.

Impersona infatti il servo tuttofare, furbo, malizioso e opportunista, fastidiosamente servile con il padrone. Ovviamente il suo ruolo è quello di caposervitù, compito che svolge con prepotenza verso gli altri servi. Attaccabrighe e chiacchierone, è un campione nel tramare complotti e intrighi, e all’occasione non disprezza d’essere ubriacone e perfino assassino.

Osserva in questo splendida rappresentazione il fiero portamento, lo sguardo deciso e pungente.

E osserva i suoi abiti, come sono cambiati rispetto a quelli tradizionali dello Zanni originario.

Brighella indossa infatti una severa uniforme bianca decorata con nastri verdi di cui va fiero, che simboleggia la sua fedeltà al padrone; porta anche un mantello dello stesso colore.

Hai notato lo spadino che porta con sé? Pensa che in origine era un bastone, e non un bastone qualsiasi, ma il «batocio», vale a dire lo strumento utilizzato per rimestare la polenta!


Curiosità: chi è «un brighella» oggi?


Ancora oggi si usa dire «essere un brighella» e «fare il brighella»: nel primo caso, s'intende proprio comportarsi in modo furbo, abile e intrigante, mentre nel secondo fare il burattino, agire con poca serietà.



La maschera bergamasca più famosa: Arlecchino, il "simbolo" del Carnevale


E ora rifacciamo un salto sulla scena teatrale.

Presto, un nuovo personaggio arriva a Venezia: è Arlecchino, che si dà subito da fare alla ricerca di un "compaesano" - con il quale poter parlare il proprio dialetto - che possa aiutarlo, ospitarlo e possibilmente trovargli un lavoro; sulla scena incontra proprio Brighella.

Arlecchino, però, derivazione del secondo Zanni, è di tutt’altra pasta rispetto al compare Brighella: è il tipico servo ignorante e un po’ goffo, ma comunque astuto, capace di imbrogliare i suoi padroni per scappare dai guai e per sfuggire ai forti e ai prepotenti. Molto avido e costantemente alla ricerca di cibo e denaro, adora però aiutare i giovani amanti ed è sempre innamorato di una "servetta".

Rispetto a Brighella, Arlecchino è l’ultimo dei servi, sempre bastonato e molto agile, proprio per evitare le bastonate: è così sostanzialmente l'opposto di Brighella, che, non solo è il capo dei servi, ma possiede, al contrario, agilità di mente.

Con il tempo, anche nel caso di Arlecchino l'abito tradizionale dello Zanni cambierà, e assumerà le colorate sembianze con cui lo conosciamo oggi. Anche se una tradizione diffusa racconta che questo sia avvenuto a furia di rattoppi - in quanto Arlecchino era così povero da non avere stoffe dello stesso colore - l'origine di questa svolta d'abito si deve in realtà ad un attore teatrale vissuto a cavallo fra Cinquecento e Seicento, lo zanni Tristano Martinelli.

In occasione di uno spettacolo alla corte del Re e della Regina di Francia, per distinguersi e impressionare i sovrani, l'attore decide di stravolgere totalmente l'abito originario: così, con un tocco di furbizia, rinasce in una perfetta veste variopinta l'amatissima maschera.

Osserva infatti, ancora una volta, come l'abito del personaggio sia lo specchio della sua personalità: il carattere di Arlecchino, colorato e libero, si rispecchia negli abiti vivaci.

Indossa infatti una larga casacca e dei pantaloni tappezzati dalle famosissime losanghe colorate, a cui si accompagna una maschera di cuoio nero che copre metà viso, lasciando scoperta la bocca e permettendo una buffa mimica, caratteristica del personaggio, con sopracciglia voluminose che esprimono aria interrogativa. Tra i vari accessori, sono certa che hai notato subito l'amatissimo «batocio» per mescolare la polenta, che la maschera di Arlecchino ha curiosamente mantenuto, a differenza di quella di Brighella.

Le origini di questo personaggio sono però per certi versi ben più lontane, nello spazio e nel tempo, rispetto alla semplice identità bergamasca.

La maschera di Arlecchino si sviluppa infatti dalla contaminazione fra lo Zanni bergamasco e alcuni personaggi diabolici della tradizione popolare francese.

Il suo stesso nome ha origine fiamminga e si ispira al folklore nordico evocando quello di Hellequin de Boulogne, diavolo buffone delle leggende medievali francesi (da qui, la somiglianza nel nome e anche nel comportamento da buffone).

Ripercorrerne la storia è molto suggestivo, e ci svela che le origini di Arlecchino si perdono fra teatro, leggenda e letteratura - troviamo tracce persino nell’Inferno di Dante! Se ti ho incuriosito, puoi approfondirle attraverso questa lettura!

Quel che è certo, è che la maschera di Arlecchino ha avuto talmente fortuna da diventare letteralmente il simbolo del Carnevale.

La celebrità del personaggio lo ha anche portato a diventare protagonista in svariati campi del mondo culturale: ad esempio, è stato spesso raffigurato nell'arte, e a questo proposito, guarda che meraviglia il dipinto che ti propongo! S'intitola "Arlecchino pensoso", puoi ammirarlo al Metropolitan Museum of Art di New York, e lo ha realizzato Picasso: il geniale pittore amava moltissimo la maschera di Arlecchino, tanto da averla rappresentata più volte. E in quest'opera, con un po' di immaginazione, possiamo curiosamente leggere il buffo e allegro Arlecchino da una prospettiva diversa!


Curiosità: Arlecchino e la Val Brembana


Sapevi che a Oneta, frazione del comune di San Giovanni Bianco, in Val Brembana, si trova la casa di Arlecchino?

Sbirciala, non puoi che segnarla come tappa da non perdere per una gita primaverile!

Non è inoltre un caso che proprio in Val Brembana, valle che la tradizione identifica proprio come luogo natale di Arlecchino, sia stato girato il film "Io, Arlecchino", del quale abbiamo parlato nel post sui film ambientati a Bergamo e in provincia (se te lo sei perso, recuperalo subito!).



La maschera bergamasca in assoluto: Gioppino

Nella parlata bergamasca il nome di Gioppino appare spesso come sinonimo di “pazzerellone”, “burlone”; quante volte abbiamo sentito dire: “...dèsmèt dè fa ol Giopì”, oppure, “...ma che sgiopinade fet po?”

Gioppino "nasce" in un'epoca ricchissima di fermenti, l'Ottocento. Infatti, in particolare durante i moti degli anni ’30, il popolo bergamasco non s’identificava più in Arlecchino e in Brighella e reclamava a gran voce un “nuovo eroe”, che fosse pienamente bergamasco.

Senti come Gioppino impersona con fierezza la maschera bergamasca per eccellenza:


"Mé so ‘l Giopì de Bèrghem,

gh’è pòch de cicerà

e gnà Arlechì o Graèla

no i pödrà töm la mà.

Perché lur du de Bèrghem

L’è ü pèss che i è ‘ndàcc ivià

E al pòst del bergamasch

I parla ol venessià."


(Io sono il Gioppino di Bergamo, / c’è poco da chiacchierare, / e né Arlecchino né Brighella / potranno scavalcarmi. / Perché loro due da Bergamo / è da un pezzo che se ne sono andati / e al posto del bergamasco / parlano il veneziano.)


Nel Risorgimento, come burattino, viene portato per le vie e le piazze di Lombardia da Pasquale Strabelli, e affina sempre più la sua satira, con battute e allusioni coraggiose, contro l’odiata dominazione austriaca del tempo.


Ma chi è Gioppino? Giuseppino Söcalonga, detto Gioppino, è un contadino semplice della campagna bergamasca, nativo di Zanica.

Caratterizzato da una rustica bonarietà, amante del vino e della buona tavola, è sposato con Margì, che ama molto sebbene ricerca, quando può, la compagnia d'altre donne; ha anche un figlioletto, Bortolì.

La tradizione lo abbiglia con una rozza giubba, solitamente verde e orlata di rosso, una camicia sbottonata e pantaloni alla zuava, sempre accompagnato dall’immancabile corto bastone per girare la polenta, ma anche utile a convincere chiunque ostacoli i suoi piani!



Il suo aspetto fisico è inconfondibile: sfoggia, infatti, tre grossi gozzi sporgenti che esibisce con orgoglio come se non fossero difetti fisici, ma veri e propri gioielli che spera di tramandare al figlio Bortolì.

Sapevi che la malattia che provocava lo sviluppo dei gozzi era molto diffusa fra i contadini della bergamasca? Essi erano dovuti all’ingrossamento della tiroide, a sua volta causato dalla mancanza di iodio, ma che Gioppino, con genuinità, interpreta a modo suo, dicendo:


“L’è la tropa inteligènsa chè la ga stàa mia ‘ndèl sèrvèl, è alura ol Padre Eterno al ma la mètida chè sota!”

(È la troppa intelligenza che non ci sta nel cervello, e allora il Padre Eterno me l’ha messa sotto!)


Gioppino è sicuramente una creazione tipicamente popolare: in fondo non è che una caricatura del popolo contadino bergamasco, da cui ha preso il linguaggio grossolano, esagerandone i difetti e la rusticità. All'apparenza sempliciotto, ma in verità giudizioso e di cuore, è spesso padrone delle scene e delle situazioni, che quasi sempre domina a colpi di bastone.


Curiosità: l'immagine di Gioppino durante il regime fascista


Durante il regime fascista, la maschera di Gioppino fu spesso ostacolata per l’aspetto ritenuto grottesco a causa dalla presenza dei gozzi, al punto che si pensò di modificare le caratteristiche fisiche del personaggio. Osserva la versione di Gioppino "purificata"!



La protagonista del teatro popolare bergamasco: Margì


Margì (affettuosa derivazione di Marietta) è la moglie di Gioppino, di cui lui si dichiara innamoratissimo!

Pensa che al loro amore, Pietro Ruggeri da Stabello dedicò nel 1836 una serenata, che l'autore immagina di cantare da parte di Gioppino innamorato per la sua Margì, e che ebbe un grande successo popolare.

I suoi versi sono stati in seguito portati in musica da Aldo Sala negli anni ‘50 del '900.

Ma com'era la nostra Margì?

Questa maschera rappresenta l’immagina tipica della donna contadina, massaia e madre di famiglia, che con premura, buonsenso ed energia bada al marito, ai figli e al parentado intero.

E che, a dirla tutta, ha anche il “compito” di tenere d’occhio il marito: gran lavoratore, sincero e schietto, ma che corre il rischio di inciampare nei guai per colpa di amici poco sinceri e di furbi mercanti, pronti a imbrogliare il buon Gioppino.



Curiosità: il gioco di carte della Margì


Anche se questa curiosità la conoscerai già benissimo, ti ricordo che la Margì è protagonista di un gioco di carte tipicamente bergamasco, nonché raffigurata al centro del quattro di spade nel celebre mazzo di carte bergamasche "Masenghini".



E dopo questo piccolo viaggio fra le maschere legate alla storia bergamasca, ti saluto con alcune immagini dell'affascinante carnevale di Valtorta, celebre per le tradizionali maschere da sempre realizzate con pelli di animale (coniglio, pecora e capra), oppure - come accadeva solo nel regno del Mago di Oz - con legno e latta, secondo una tradizione di lunghissima data!


Buon carnevale a tutti!




 

Citazioni


"Mè so 'l Giopì de Bèrghem.." dei poeti dialettali Angelo e Piero Astolfi


Bibliografia


L'artificio della maschera o del fascino carnevalesco, collana Il Turismo Culturale.



Sitografia




Immagini


P. Picasso, Arlecchino pensoso, 1901, Metropolitan Museum of Art, New York, USA



Video


Dario Fo - Lo Zanni

Le Maschere del Carnevale di Valtorta - Valle Brembana, 2017

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